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Pericolo microplastiche nel Ticino

Una ricerca dell'Università degli Studi di Milano ci porta alla scopera del grande 'Fiume azzurro': simbolo di naturalità e oggetto di sforzi di conservazione, il Fiume Ticino purtroppo non è esente dall'invasione delle microplastiche.   

 

 

  • Paolo Tremolada, Anna Winkler e Andrea Masseroni *
  • Marzo 2021
  • Mercoledì, 24 Marzo 2021
Foto Pixabay Foto Pixabay

Che la plastica sia dappertutto è un dato di fatto. Nelle nostre case la troviamo ovunque: oggetti, barattoli, sacchetti, lì da usare o già rifiuti in attesa di essere buttati (per prova si può contare quanti oggetti plastici abbiamo intorno a noi mentre leggiamo questo articolo).

Sono così tanti che poi non è difficile pensare di trovare gli stessi oggetti, che abbiamo contato intorno a noi, dispersi nelle campagne, ai bordi delle strade o in modo ancor più evidente sulle spiagge. La plastica comprende una varietà impressionante di composti (esistono addirittura 5300 diversi polimeri plastici!), ma una proprietà che li accomuna è la persistenza nell'ambiente.

Cosa sono le microplastiche 

Anche se la plastica è composta principalmente da carbonio, la si riconosce subito, perché è diversa dai materiali naturali: una differenza fondamentale è che i frammenti naturali si degradano, scompaiono, mentre la plastica rimane, magari si sfilaccia si frammenta ma rimane sempre lì. E' proprio la sua permanenza e i suoi processi di "invecchiamento", soprattutto a opera del sole, che porta alla disgregazione delle macroplastiche e alla formazione di frammenti sempre più piccoli, che, quando raggiungono una dimensione minore di 5 mm diventano appunto le microplastiche. Queste essendo molto piccole non sono visibili a occhio nudo, se non quelle più grandi, e perciò, molto spesso, non ci accorgiamo della loro presenza. Possono essere di tutti i colori esattamente come i prodotti da cui derivano e di tutte le forme a seconda del materiale di provenienza e del processo che le ha formate.

Per esempio, i tessuti cosiddetti "sintetici" sono fatti di fibre plastiche (tipicamente poliesteri e poliammidi); essi possono rilasciare microfibre della stessa composizione e colore del materiale originale. Una delle fonti tipiche di microplastiche sono le microfibre rilasciate durante l'uso e il lavaggio dei tessuti sintetici; nell'acqua di scarico della lavatrice se ne trovano davvero tante. Una delle ricerche che stiamo portando avanti è la caratterizzazione delle microfibre rilasciate dalle macchine asciugatrici. In una delle prove abbiamo lavato e poi asciugato circa 5 kg (una lavatrice) di tessuti sintetici (coperte di Pile magliette di poliestere e così via) e abbiamo raccolto quello che si è depositato sul filtro dell'aria, avendolo preventivamente pulito. Quasi increduli abbiamo raccolto 2,3 g di frammenti microscopici; una matassina di fibre che, se osservate al microscopio, rilevavano forme e colori esattamente coincidenti con i tessuti da cui provenivano.

Per rendersi conto di quante fossero abbiamo fatto un calcolo teorico che ci ha chiaramente sorpreso: il ciclo di asciugatura ha rilasciato nel solo filtro dell'aria 59 milioni di microfibre di plastica. Chiaramente poi a queste si devono aggiungere quelle rilasciate precedentemente durante il lavaggio in lavatrice, quelle perse nell'acqua di scarico dell'asciugatrice ed infine quelle non trattenute dal filtro dell'aria.

Una ricerca di un gruppo australiano (O'Brien et al. 2020) ha misurato la concentrazione di microfibre nell'aria della stanza in cui stava funzionando un'asciugatrice, rispetto ad un'altra di controllo e la concentrazione era maggiore in relazione al funzionamento della macchina.

Dove si 'nascondono' le microplastiche 

Le microfibre dei tessuti sintetici sono una delle categorie più diffuse di microplastiche ritrovate nell'ambiente. Anche i tessuti fatti con fibre naturali (cotone e lana) rilasciano allo stesso modo microframmenti, ma, a differenza dalle fibre "sintetiche", le microfibre "naturali" a poco a poco si degradano e scompaiono, mentre quelle "sintetiche" permangono molto di più nell'ambiente e hanno una maggior probabilità di interferire con gli organismi. La pericolosità delle microplastiche è un discorso cruciale, ancora aperto e dibattuto su cui torneremo. 

Il caso delle microplastiche rilasciate dalle asciugatrici è solo un esempio per dare un'idea di quante e quali possano essere le possibili fonti di microplastiche. Oltre a quelle  cosiddette "secondarie", cioè quelle che derivano dalla frammentazione di plastiche più grandi, ci sono quelle chiamate "primarie", cioè quelle prodotte deliberatamente e utilizzate in tantissime applicazioni, come creme per la pulizia del viso e dentifrici. Tutto, generalmente, finisce nelle acque di scarico e poi, attraverso i collettori fognari, arriva ai depuratori che le possono più o meno trattenere in base alla loro efficienza. Questa non sarà mai assoluta così una frazione di esse arriverà alle acque superficiali e quindi verrà dispersa definitivamente nell'ambiente. Un gruppo di ricerca dell'Università degli Studi di Milano (Magni et al, 2019), ha studiato la rimozione delle microplastiche nel depuratore di Nosedo che serve buona parte della città di Milano (1.200.000 abitanti equivalenti). E' un depuratore moderno e piuttosto efficiente e la capacità di rimozione delle microplastiche è risultata piuttosto alta (veniva trattenuto l' 84% delle microplastiche in ingresso al depuratore). Nonostante quest'alta efficienza, i ricercatori hanno calcolato che le microplastiche comunque rilasciate nelle acque superficiali (acqua depurata in uscita) erano davvero tante: 160 milioni di microplastiche al giorno, tra di esse principalmente poliestere (35%) e poliammide (17%) i due polimeri plastici maggiormente utilizzati per produrre tessuti sintetici.

Le microplastiche nel Ticino

Quantificare e dimostrare la presenza di microplastiche nel grande 'Fiume azzurro' è un risultato importante, sia da un punto di vista scientifico sia da quello culturale. Un conto è "pensare" che ci possano esse e un conto è verificarlo sperimentalmente. Non bisogna dimenticare anche le difficoltà tecniche della ricerca; le microplastiche sono per loro natura piccolissime, bisogna trovarle, riconoscerle e quantificarle. Con le microplastiche, le normali tecniche analitiche, che ci permettono di misurare la concentrazione degli inquinanti tradizionali, non funzionano, bisogna prenderle una a una e analizzarle con uno strumento apposta in grado di identificare il polimero di cui la particella è composta. Questa ricerca è iniziata con l'idea di una giovane dottoranda, Anna Winkler, che ha vinto il concorso di dottorato in Scienze Ambientali e ha voluto portare avanti questo progetto proprio nel Ticino, proprio per verificare se, anche in un fiume "pulito", ci fosse questa componente antropica.

Sono state definite 6 stazioni (waypoint-map) lungo tutto il percorso del fiume e si è deciso di prelevare quattro matrici ambientali rappresentative dell'ambiente indagato. Innanzitutto, l'acqua che è il mezzo di trasporto principale, campionata attraverso uno speciale "retino" (camera-2112207 960 720), poi i sedimenti che possono raccogliere quanto si deposita sul fondo e infine due organismi rappresentativi della catena alimentare dell'ambiente fluviale: le larve di tricotteri e il pesce siluro.

Molti insetti, soprattutto allo stadio larvale vivono e crescono sul substrato fluviale nutrendosi soprattutto del detrito organico che fluisce e si deposita grazie al flusso delle acque. Questi organismi, chiamati "macroinvertebrati bentonici", rappresentano una parte fondamentale della dieta di molti pesci. Quelli scelti per questa ricerca sono larve di insetti appartenenti all'ordine dei tricotteri e a una famiglia con generi che non costruiscono astucci di protezione (famiglia Hydropsychidae). Il pesce siluro è stato scelto perché è un predatore terminale molto vorace, di provenienza alloctona, considerato una minaccia per la fauna ittica del fiume e per questo soggetto a un piano di contenimento. Grazie alla collaborazione degli ittiologi di GRAIA s.r.l., che è la società incaricata per queste attività, sono stati recuperati alcuni soggetti per l'analisi delle microplastiche nel loro contenuto stomacale.

Cosa c'è nello stomaco di un siluro 

In ogni stazione sono stati raccolti tre campioni d'acqua, tre di sedimento, quindici larve di tricottero e cinque siluri; le microplastiche sono state analizzate attraverso una procedura abbastanza laboriosa e delicata per evitare la contaminazione del campione con microplastiche esterne. Con l'ausilio di uno stereomicroscopio le singole particelle estratte sono state disposte, fotografate e catalogate su dei filtri d'argento (camera-2112207 960 720) adatti alle successive analisi. L'analisi strumentale di ogni singola particella è stata effettuata mediante un microscopio collegato con uno strumento in grado di riconoscere in modo specifico i diversi polimeri plastici. Lo strumento utilizzato si chiama micro-FTIR (micro-Fourier Tramsform Infrared Spectroscopy) e le analisi sono state svolte ad Alessandria grazie alla collaborazione con Michele Laus e Diego Antonioli dell'Università del Piemonte Orientale.

Già guardando i filtri in cui si accumulavano le possibili microplastiche, isolate dai campioni, si rimaneva sbalorditi ed era evidente che le microplastiche, con la loro varietà di dimensioni, forma e colore, permeano l'ambiente naturale. Le particelle isolate sono state poi sottoposte ad analisi chimica per definire quali fossero effettivamente di natura plastica (polimeri plastici) e quali frammenti di materiali naturali, comprendendo in questa categoria anche residui di origine antropica ma composti da materiali di origine naturale, come fibre di cotone o frammenti di cellulosa (carta). Il rapporto tra particelle identificate come plastica (microplastiche) sul totale delle particelle analizzate è stato del 91% per l'acqua, 84% per i sedimenti; 28% per i tricotteri e 20% per i siluri.

Nell'acqua e nei sedimenti quasi tutte le particelle isolate sono risultate essere microplastiche mentre per gli organismi, in cui la matrice organica è molto più complessa, solo una parte è stata confermata come microplastiche. Indipendentemente da questo dettaglio tecnico, il risultato eclatante è stato che in tutte le matrici ambientali analizzate sono state ritrovate microplastiche, in primis nell'acqua del fiume con una concentrazione media di 33 microplastiche per m3 di acqua, poi nel sedimento con 11 microplastiche per kg di sedimento e, a seguire, nei macroinvertebrati con 0,2 microplastiche per singolo tricottero e nei pesci con 1,4 microplastiche per singolo siluro. Questi risultati si riferiscono solo alle microplastiche confermate per via analitica. Considerando le difficoltà che si hanno nell'isolare le sospette microplastiche e nell'ottenere una conferma strumentale della loro composizione, il contenuto effettivo di microplastiche potrebbe essere anche maggiore. 

I macroinvetebrati sono la categoria più contaminata

Per confrontare il contenuto di microplastiche nelle diverse matrici ambientali analizzate, bisogna uniformare il volume di riferimento, perché, avendo filtrato un grande volume di acqua, è logico che in questa matrice si trovino più microplastiche che in un singolo macroinvertebrato del peso di frazioni di grammo. Riportando tutte le matrici allo stesso volume (il m3 come per l'acqua) e calcolando, per proporzione, il numero di microplastiche potenzialmente presenti in quel volume si ottiene un qualcosa di sorprendente:  la matrice con più microplastiche risulta essere proprio i macroinvertebrati, seguiti dai pesci e dai sedimenti ed infine dall'acqua (PDF). 

Questa modalità, per quanto strana sembri, è la modalità corretta per valutare i possibili effetti di bioconcentrazione dei contaminanti mediante il rapporto tra la concentrazione del contaminante nell'organismo rispetto a quella dell'ambiente in cui vivono, a parità di volume. Per i macroinvertebrati, l'ambiente è il sedimento, mentre per i pesci è chiaramente l'acqua. Sia i macroinvertebrati che i pesci risultano essere molto più "contaminati" rispetto all'ambiente in cui vivono, suggerendo pertanto la presenza di un fenomeno di bioconcentrazione delle microplastiche negli organismi.

Per quanto riguarda il trasferimento delle microplastiche lungo la catena alimentare ci si potrebbe aspettare che i pesci abbiano più microplastiche delle loro prede (i macroinvertebrati). Questa ipotesi non è stata confermata dai dati sperimentali che, invece, indicherebbero i macroinvertebrati come la categoria più "contaminata"

I risultati di questo lavoro hanno quindi confermato che, anche in un fiume "pulito" come il Ticino, le microplastiche siano presenti ovunque le si cerchino. Precedenti ricerche sempre dell'Università degli Studi di Milano, avevano già trovato le microplastiche nelle feci di lontra (Smiroldo et al., 2019) e poi nelle borre di martin pescatore (Winkler et al., 2020), sempre lungo il Ticino. Ora è evidente come le microplastiche siano presenti nelle principali matrici ambientali del fiume, acqua e sedimenti e poi nei suoi organismi (macroinvertebrati e pesci). Nell'acqua del fiume sono state trovate microplastiche delle tipologie più varie. Per quanto riguarda la forma, il 56% aveva forma irregolare, il 36% erano fibre, mentre solo il 2% aveva una consistenza spugnosa, l'1,5% si presentava in forma di film plastico e l'1,5% in forma sferica. 

Questo lavoro dovrebbe far riflettere su quanto la plastica possa essere un materiale "problematico". Sono sintomatiche le immagini degli organismi marini intrappolati nei residui delle reti da pesca o con lo stomaco pieno di sacchetti di plastica, altrettanto preoccupante è constatare che, anche quando non si vede, la plastica la troviamo praticamente dappertutto, sottoforma di particelle microscopiche, non visibili a occhio nudo, ma non per questo meno insidiose.

Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, Università degli Studi di Milano

 

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