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Riforma dei parchi, a che punto siamo

La Legge quadro sui parchi è in discussione alla Camera, portandosi dietro polemiche e critiche, ma c'è anche chi ne sottolinea gli aspetti positivi. Proviamo a fare il punto della situazione, senza voler esprimere giudizi ma tentando di informare tutti coloro che hanno a cuore il destino dei parchi, perchè possano farsi un'idea propria e consapevole

  • Emanuela Celona
  • Aprile 2017
  • Mercoledì, 5 Aprile 2017
Riforma dei parchi, a che punto siamo

Non sarà certo passata inosservata ai lettori di uno dei più importanti quotidiani nazionali, la piena pagina pubblicata lo scorso 26 marzo e intitolata: 'S.O.S. Natura d'Italia - Cosa rischiano i parchi italiani'.
L'appello, lanciato dal WWF, riguardava la discussione alla Camera sulla riforma dei parchi nazionali: riforma già approvata in Senato e tutt'ora in Parlamento.
Difficile stabilire se l'appello dell'associazione ambientalista sia stato raccolto o meno dall'opinione pubblica: certo è che i tweet che avrebbero dovuto chiamare in causa @lauraboldrini e @PietroGrasso con l'hastag #sosparchi non hanno aperto un ampio dibattito sulla riforma  e in pochi ne hanno parlato. Forse perché gli italiani non sono abituali frequentatori di Twitter? O perché i parchi non sono un argomento di interesse nazionale?

Per sfatare l'ultimo quesito, sebbene commentare un disegno di legge non ancora definitivo risulti essere una 'parziale' interpretazione della realtà, può essere utile capire a che punto siamo della riforma, quali siano i motivi che spingono alcune alcuni  a schierasi 'contro' e quali, invece, le ragioni per cui altri si dichiarano soddisfatti.
Insomma, ci preme innanzi tutto dare informazioni ai lettori affinché ognuno possa farsi una propria opinione, altrimenti quale scopo avrebbe la divulgazione?

Piemonte Parchi ha già scritto sulla riforma della Legge quadro sulle Aree protette (Legge 394 del 1991) al tempo della sua approvazione in Senato, lo scorso novembre, riportando l'opinione dei direttori dei parchi piemontesi che hanno accettato di essere intervistati.
Oggi, la revisione della Legge 394 è in discussione alla Camera dei Deputati, dopo essere passata in Commissione Ambiente ed essere stata, appunto, approvata in Senato.

Tra i punti dolenti della riforma, c'è il mancato inserimento delle aree umide riconosciute dalla Convenzione di Ramsar e quelle di Natura 2000 riconosciute dalla Direttiva Habitat e Uccelli tra la classificazione delle aree protette (secondo quanto comunicato da Legambiente in una nota stampa). Ma è soprattutto la governance delineata nel disegno di legge a creare forti scontenti da parte di più associazioni ambientaliste: un modello che si sposta dallo Stato a livello locale, coinvolgendo portatori di interessi specifici e 'interessati'. Non piacciono neppure le modalità di nomina dei presidenti e dei direttori degli enti (partendo da AIDAP, l'Associazione Italiana Direttori Aree Protette che le contesta fermamente): i primi, infatti, continuerebbero a essere di espressione politica, senza competenze specifiche e potrebbero trovarsi di nomina anche pensionati o chi riceve vitalizi; i secondi, non più iscritti all'Albo dei direttori dei parchi, non avrebbero più l'obbligo di competenze naturalistiche e verrebbero chiamati a essere 'espressione del territorio' con perplessità espresse sulla trasperenza del percorso di selezione.
Unica nota postiva, la questione della parità di genere sulla quale viene posta attenzione: oggi, infatti, su 23 parchi nazionali sono solo tre le donne con funzione dirigenziale e 14 su 230 sono quelle nei consigli direttivI.

A non convincere gli ambientalisti è anche il sistema delle royaltie, ovvero i risarcimenti conferiti ai parchi per i danni provocati alla natura in seguito ad attività impattanti, perché il modello una tantum proposto nel disegno di legge non è esaustivo dei risarcimenti e, soprattutto, esclude attività importanti quali, ad esempio, l'imbottigliamento delle acque minerali.
La proposta di legge non risolve neppure il problema della vigilanza, aspetto che si è acuito dopo il passaggio del Corpo forestale ad altri corpi delle forze dell'ordine, con una conseguente riduzione di sorveglianza su territorio protetto.

Insomma, gli oppositori contestano una riforma poco coraggiosa, e lo dimostrerebbe la non istituzione del Parco nazionale del Delta del Po - dove si rimane succubi delle incomprensioni locali tra Veneto ed Emilia Romagna - e il rischio di trasformare i parchi in terreno di conquista per i potentati locali, come già successo in alcuni casi, come al Parco nazionale dell'Arcipelago della Maddalena dove viene ricordata la discutibile messa in 'vendita' dell'Isola di Budelli, gioiello del parco nazionale.

Qualcuno, però, rimarca gli aspetti positivi della riforma, in primis la Federparchi. Proprio in Commissione Ambiente sono state apportate importanti modifiche rispetto il testo originario, come il Piano nazionale triennale per le aree naturali protette, ovvero un luogo di concertazione e programmazione (almeno sulla carta) condivisa tra Regioni e Governo, già finanziato per il triennio 2018/2020 per 10 milioni di euro. Il piano riserverebbe delle risorse anche alle aree protette regionali e alle aree marine protette, ovviamente sostenute anche da finanziamenti regionali.
È in questa sede che dovrebbero essere prodotte strategie di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, principale causa di perdita di biodiversità delle aree protette, sulle quali la riforma invita a intervenire.

La revisione della Legge 394 prevede anche un rafforzamento di alcuni divieti, come per l'eliski nei parchi e nelle aree contigue e per le attività di ricerca, estrazione e sfruttamento di idrocarburi. Pregevole l'introduzione di indicazioni per il rispetto delle norme nell'uso di prodotti fitosanitari all'interno di aree protette così come, dal 2018, l'incremento a 3 milioni di euro per il finanziamento e la gestione delle Aree marine protette istituite.

Quindi, si tratta di una buona o cattiva proposta di legge?

Per capire di cosa parliamo, quando ci riferiamo ai parchi del nostro Paese, può essere utile dare un po' di numeri.
Sulla carta, infatti, esistono 871 aree protette per oltre 3 milioni di ettari tutelati a terra, 2,850 milioni di ettari a mare e 658 chilometri di costa
. I parchi nazionali sono 24 (con 1,5 milioni di ettari a terra e 71mila a mare); 27 le aree marine protette, 148 le riserve naturali statatli, 134 i parchi naturali regionali, 365 le riserve naturali regionali e 171 le aree protette diversamente classificate. Numeri che non comprendo i 2300 siti difesi in vario modo dall'Unione europea che tutelano il 10,5% del territorio nazionale, cui va aggiunto un altro 10,5% se si considerano anche i siti di Rete Natura 2000. Significa, in totale, un patrimonio protetto pari al doppio di qualsiasi altro Stato europeo. Un risultato che è stato possibile raggiungere nel 1991, grazie alla Legge 394 che ha portato la porzione di territorio tutelato in Italia, dal 3 al 10,5%.
È grazie alla Legge quadro 394 che sono diventati parchi nazionali territori come l'Aspromonte o, per tornare in Piemonte, la Val Grande che insieme al Parco nazionale del Gran Paradiso sono i parchi direttamente toccati dalla riforma nella regione piemontese.

La Legge 394 è stata una legge importante e che ha segnato i tempi, ma a distanza di 26 anni tutti sono concordi nel dire che necessitava di una revisione. Il problema sta nella eccessiva commistione tra 'territorio' ed 'economia' nella politica di gestione dei parchi che la riforma contemplerebbe. 

Perché la questione è sempre la stessa: tutelare la natura significa non dover scendere a compromessi? Se esistono motivi naturalistici per preservare una zona, quella protezione può essere negoziata? Un parco può avere anche finalità economiche? E come contemplare il coinvolgimento delle comunità con gli interessi privati?

La riforma affida ai parchi un ruolo di attori nello sviluppo territoriale, anche sotto il profilo economico, e questo preoccupa molti perché, come ha spiegato Ugo Mattei in una sua dichurazione raccolta sulla questione, la logica pubblicistica lascia il posto a quella aziendalistica. C'è bisogno di governare i luoghi nel rispetto di regole costruite insieme per un uso consapevole e responsabile del territorio, perché i parchi sono un bene comune, prima ancora di un bene pubblico.
È questo l'aspetto che sottolinea di più il giurista, strenuo difensore dell'acqua pubblica e promotore dei requisiti referendari contro la sua privatizzazione, perché ciò che più è mancato in questa riforma è stato un tavolo di confronto tra le comunità, tutte le istituzioni coinvolte e i governi dei luoghi.

La Regione Piemonte, nel lontano anno 2000, aveva fatto la sua parte, ospitando la Seconda (e ultima) Conferenza nazionale delle Aree protette, un importante laboratorio di idee, proposte e dibattito.
E se ripartissimo da qui? Perché scrive bene Antonio Cianciullo, sulle pagine di un importante quotidiano nazionale: «I parchi oggi hanno perso un po' di slancio, Hanno giocato bene in difesa: quando erano assediati dal cemento si sono validamente difesi. Ma adesso bisognerebbe passare all'attacco: fare della natura protette il motore di un'economia leggera e a basso impatti ambientale».

 

 

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