Questo 2020 che sta per finire ci ha imposto la consapevolezza di nuove fragilità. Sono fragilità individuali (la soggezione a un possibile contagio), ma anche sociali e ambientali. Il tempo tra il lockdown di primavera e l'alluvione del 3 ottobre scorso, ha cambiato profondamente non solo il presente, ma anche il nostro prossimo futuro. E l'inverno, stagione climaticamente fragile per le comunità alpine, deve ancora arrivare e non sappiamo che inverno sarà. In questo quadro fosco rimangono due certezze: la necessità di studiare per prevenire e la solidarietà comunitaria per combattere le avversità.
La primavera e l'autunno sono ricordate, nella memoria storica della nostra gente, come "il tempo della buzza". Le buzze sono le periodiche esondazioni dei torrenti di montagna e del Fiume Toce dopo piogge prolungate che, nel clima continentale alpino, si verificavano in aprile-maggio e ottobre-novembre, a differenza del clima mediterraneo dove piove in inverno ed è siccità in estate.
La lotta per difendersi dai "riali", così come dalle valanghe, ha impegnato per secoli le comunità di montagna che vendevano i boschi per costruire opere di difesa collettiva. Le buzze erano solitamente provocate da piogge intense e battenti in breve periodo di tempo che spaccavano il terreno e sradicavano alberi; così le recenti del 1978 e 1993. L'alluvione del 2000 è stato riconosciuta come un'alluvione di "nuova generazione": piogge di tipo monsonico abbondanti e prolungate per più giorni (oltre 600 mm in tre giorni come un anno in Pianura Padana). L'alluvione del 2020 pare ritorni ai parametri del passato: 600 mm in 24 ore. Una giornata d'acqua ci ha rivelato nuove fragilità sia nel territorio (che va curato con attenti interventi di pulizia degli alvei e cura dei boschi e non con l'unica medicina del cemento armato) sia nelle politiche urbanistiche (dove e come costruire abitazioni ed edifici civili).
I climatologi riconoscono come i cambiamenti si manifestino con tre variabili correlate: il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci e la frequenza di eventi meteorologici estremi. Proprio a questi ultimi si fa riferimento per tentare di spiegare l'ultima alluvione che ha investito le Alpi occidentali, come due anni fa la tempesta "Vaia" ha colpito le Dolomiti e le Prealpi venete.
La buzza di primavera è stata invece tutta sociale: la pandemia di coronavirus ci ha travolti e ha imposto comportamenti prima non immaginabili (l'isolamento e il distanziamento) e il prolungarsi dell'emergenza a fine gennaio 2021 ci dice che nuovi stili di vita vadano acquisiti e radicati. La pandemia ha altresì confermato la forza (la salubrità dell'ambiente naturale) e la fragilità delle Alpi.
E' un fragilità non solo ambientale, ma soprattutto economica aggravata dal digital divide. Anche il turismo (apparentemente anello forte dell'economia alpina) ha subito e subirà le misure di contenimento del coronavirus. Per Macugnaga questo è aggravato dall'incertezza per il futuro degli impianti di risalita, come anche per altre stazioni ossolane nonostante coraggiose avventure imprenditoriali. Comunità alpine dal futuro incerto, come pellegrini persi nella nebbia.
Il lamento e la rassegnazione non servono a nulla per la fragilità "Dell'aspra sorte e del depresso loco / che Natura ci diè".
Giacomo Leopardi nella poesia La ginestra (il fiore del deserto) invoca la solidarietà tra gli uomini e l'aiuto reciproco come via maestra e unica possibilità per superare gli ostacoli e gli accidenti del vivere.
Questo testo uscirà come editoriale de Il Rosa a dicembre n. 3/2020.