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Il permafrost si sta sciogliendo anche sulle Alpi

Il permafrost è uno degli indicatori del cambiamento climatico e il suo scioglimento sta interessando tutto l'arco alpino: circa il 10% del territorio piemontese, nei territori tra i 2500 e i 3500 metri di quota

 

  • Stefano Viazzo
  • Febbraio 2018
  • Lunedì, 26 Febbraio 2018
Il permafrost si sta sciogliendo anche sulle Alpi

Al geologo Luca Paro, funzionario in Arpa Piemonteper la raccolta e analisi dei dati sul dissesto, chiediamo quali sono state le conseguenze del riscaldamento globale sui territori di alta montagna.

Lei lavora per ARPA Piemonte, che cosa fa in particolare?

Lavoro in un settore che si chiama studi e monitoraggi geologici, si occupa di dissesto idrogeologico e in particolare della instabilità dei versanti. Da circa dieci anni ci occupiamo anche di monitoraggio del permafrost, del riscaldamento in alta quota e sulle conseguenze che questo fenomeno produce nel territorio.

Cos'è il permafrost?

Per permafrost si intende un qualunque geo-materiale, come il detrito, il terreno, la roccia o il suolo che si trova a temperatura di 0°C o inferiore, per almeno due anni consecutivi. Viene definito solo su base termica, non sulla base della presenza di ghiaccio, che può essere presente ma può anche non esserci.

Lo scioglimento del permafrost è un fenomeno recente?

Diciamo che ci si è resi conto di ciò da relativamente poco tempo. La comunità scientifica si occupava di permafrost soprattutto in aree circumpolari. Quando lo scioglimento del permafrost ha cominciato a coinvolgere le aree montuose, che nelle Alpi sono anche densamente popolate, l'interesse per questo fenomeno è diventato via via sempre più diffuso.

Perché lo state studiando?

Perché il permafrost è uno degli indicatori del cambiamento climatico, è la parte di superficie della crosta terrestre più a contatto con tutti i fenomeni che avvengono nell'atmosfera. Perché la degradazione del permafrost, per la fusione del ghiaccio in esso contenuto, è fonte di instabilità dei versanti e perché modifica il circuito idrogeologico con ripercussioni sul territorio.

Questo vuol dire che tutto l'arco alpino è interessato al fenomeno...

Assolutamente sì. ARPA è stato partner di uno studio europeo, PermaNet, che si è sviluppato tra il 2008 e il 2011. Abbiamo collaborato con partner francesi, tedeschi, austriaci, svizzeri e di altre regioni italiane, in tutto l'arco alpino, per mettere insieme le conoscenze, la rete di strumenti e per capire cosa succedeva. Collaboriamo strettamente con regioni confinanti, in particolare con la Valle d'Aosta e nell'ambito del progetto PermaNet abbiamo creato una rete di collaborazioni attraverso la quale i dati vengono condivisi su una piattaforma di scambio internazionale.

Quanto è vasta la superficie delle aree interessate a questo fenomeno?

La stima fatta per il Piemonte è circa del 10%, coinvolge i territori tra i 2500 e i 3500 metri di quota. Quindi si parla di parecchie migliaia di chilometri quadrati dell'area alpina.

Le conseguenze dello scioglimento del permafrost possono essere avvertite anche in modo grave a fondovalle?

Di recente si è verificato un evento, in Svizzera, vicino al confine italiano, nel quale si sono mobilizzati 4 milioni di metri cubi di roccia che, partendo dai 3000 metri di quota, si sono poi evoluti in un fenomeno complesso localizzato lungo l'alveo di un torrente e che ha coinvolto abitati e strade. Sono fenomeni che sempre più ci fanno pensare che è bene stare attenti a ciò che succede in alta quota.

Dove si trovano in Piemonte le aree più critiche?

In tutte le zone di cresta, gli spartiacque, le zone di confine e tutti i territori dai 2500 metri in su. Ovviamente dipende anche dall'esposizione del versante. Le troviamo in tutto il territorio piemontese.

Quali sono le azioni che avete intrapreso per gestire questo fenomeno?

Su tutto l'arco alpino è stata installata una rete di monitoraggio costituita da diverse stazioni. Sono sostanzialmente delle colonne termometriche inserite in pozzi profondi da 30 a 100 metri, dalle Alpi Cozie meridionali fino alle Lepontine, e stiamo osservando cosa avviene alle temperature negli ammassi rocciosi.

Le attività umane hanno un qualche impatto su questi fenomeni o no?

L'attività umana tradizionale, quella agro pastorale e la coltura dei boschi, in genere no. Perché tutto si sviluppa al di sopra del limite bosco e talvolta anche del pascolo. Piuttosto sono gli impianti turistici, quelli legati agli sport invernali, che possono avere localmente degli effetti molto importanti.

La presenza di acqua all'interno del permafrost potrebbe essere, in tempo di siccità, una risorsa d'acqua in seguito al suo scioglimento?

L'aspetto delle acque è ancora meno conosciuto di quello dell'instabilità dei versanti in quota. Proprio in occasione dell'estate siccitosa del 2017 si sono verificati fenomeni insoliti. Alcuni torrenti erano anormalmente ricchi d'acqua, anche in prossimità della sorgente, quando in realtà non c'erano precipitazioni da mesi. Si è pensato proprio a un'alimentazione dovuta alla degradazione del ghiaccio all'interno del permafrost.

*Luca Paro è geologo del Dipartimento Tematico Geologia e Dissesto di Arpa Piemonte, Struttura Semplice Monitoraggi e Studi Geologici. Coinvolto nei progetti IFFI, IMIRILAND, PermaNet, PrévRIskHauteMontagne, ha partecipato alla spedizione in Antartide nell'ambito del progetto "Permafrost e Cambiamento Climatico" in collaborazione con il British Antarctic Survey.

 

 

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