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Un caldo da impazzire. Cambiano le abitudini degli animali

Quest'anno, Europark – la Federazione europea dei parchi – per la Giornata europea dei parchi inviata a riflettere sui cambiamenti climatici e sul fatto che i parchi stiano cambiando, insieme al clima, ma spingendo per il verso opposto: perché impianto, cura, ripristino e promozione della diversità genetica sono fattori determinati per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Per la Giornata europea dei parchi, che si festeggia il 24 maggio, ma la cui ricorrenza prosegue tutta la settimana, pubblichiamo dal nostro archivio un pezzo dedicato al legame tra i cambiamenti climatici e le abitudini degli animali, invitando a scoprire anche il ruolo che le Aree protette rivestono nella promozione della sostenibilità nelle comunità locali, ad esempio, con un progetto quale 'Parchi da gustare'.

  • Claudia Bordese
  • Maggio 2017
  • Mercoledì, 24 Maggio 2017
Un caldo da impazzire. Cambiano le abitudini degli animali

Migrare, adattarsi, estinguersi. Ogni specie animale affronta a suo modo l'emergenza climatica. L'uomo, con lo sfruttamento del Pianeta, ha creato danni enormi: ha permesso di liberare nell'atmosfera quantità sempre maggiori di anidride carbonica e di rallentarne il naturale riassorbimento con il dissennato taglio delle foreste. Ciò ha potenziato l'effetto serra aumentando in tempi troppo brevi la temperatura media della Terra. La natura ha i suoi ritmi, e l'uomo li ha stravolti.

L'emergenza attuale non è il cambiamento climatico (la Terra ha affrontatoperiodi caldi e freddi), ma piuttosto la rapidità di questi cambiamenti, troppo repentini perché le specie viventi riescano ad adattarsi. A causa del riscaldamento globale e della conseguente accresciuta frequenza di eventi meteorologici estremi, si assiste oggi a comportamenti anomali e stravaganti di molti animali, che vedono stravolte le principali tappe del loro ciclo vitale (migrazione, accoppiamento, riproduzione, letargo...), nonché le interazioni con altre specie e con l'ambiente.

Nelle zone polari l'aumento della temperatura del mare e il conseguente scioglimento di parte della banchisa sta gravemente minando una delle più importanti catene alimentari, quella che poggia sul krill, le cui larve si sviluppano proprio sotto la banchisa: negli ultimi 30 anni è diminuito di quasi l'80%, riducendo il successo riproduttivo dei grandi cetacei e delle popolazioni di foche, pinguini e uccelli marini. Nei mari tropicali la sopravvivenza dei coralli, e dell'estesa rete alimentare che su di essi si basa, è minata dall'eccesso di CO2 nell'acqua che riduce la concentrazione dei carbonati, senza i quali i coralli non possono crescere.

L'aumento della temperatura sta giocando un brutto scherzo alla popolazione maschile delle tartarughe marine. In questi animali, come in molti altri rettili, il rapporto numerico tra i sessi è fortemente influenzato dalla temperatura dell'acqua di mare in cui si tuffano i piccoli subito dopo la schiusa, e che privilegia lo sviluppo di femmine nel caso di un maggior grado di calore.

In Europa e in Italia l'anomalia più evidente è legata allo spostamento dei normali areali di distribuzione. Nel Mediterraneo hanno fatto la loro comparsa diverse specie di pesci tropicali, dalla cernia bianca al pesce palla, che stanno spodestando quelle autoctone
tanto da comparire ormai abitualmente: è il caso delle triglie del Mar Rosso, oramai sui banchi del mercato. Ancora più eclatante è la comparsa nel Centro e Sud Italia di uccelli esotici asiatici e africani, come il merlo indiano e il parrocchetto dal collare. Quest'ultimo, colorato di un bel verde smeraldo e decisamente chiassoso, a causa dell'innalzamento della temperatura e degli inverni più miti ha trovato un habitat ideale nei nostri parchi cittadini, dove nidifica nelle cavità degli alberi monumentali e si nutre di frutti e semi di piante ornamentali (palme, aranci, magnolie, cipressi): senza rivali né predatori, in alcune regioni pare inizi a minacciare specie autoctone come il picchio
e il pettirosso.

Molti animali fuggono dal caldo spingendosi verso nord, ma per alcuni è una fuga senza scampo. Lo storno nero, il nibbio reale, la magnanina sarda sono alcuni degli uccelli italiani che rischiano di scomparire se non troveranno nuove aree adatte. Le pernici bianche e i galli forcelli, relitti dell'ultima età glaciale che avevano trovato alle alte quote alpine un habitat ideale, vedono diminuire di anno in anno la copertura nevosa, preziosa alleata per mimetizzarsi e creare per la prole tane ripa-rate.

Non potendo spostarsi poiché le zone a loro congeniali, nell'estremo Nord europeo, sono improponibilmente distanti, si limitano a salire di quota, riducendo il loro habitat e la popolazione, votati a una precoce estinzione. Come gli uccelli anche gli insetti sono sensibili indicatori delle condizioni ambientali. Si sono spostate verso nord di oltre 200 km numerose specie di farfalle italiane ed europee, disorientate dal ritrovarsi prive delle specie vegetali su cui erano solite nutrirsi.
Diverso è il discorso per le api. Consapevoli che un terzo dell'alimentazione umana è legata all'instancabile attività di questi insetti impollinatori, genera preoccupazione e pena osservarne l'estremo disorientamento causato degli attuali mutamenti climatici.
Gli sciami si muovono frastornati su prati i cui fiori non corrispondono alla temperatura registrata o sono disidratati dalle estati troppo secche: le api sono totalmente disorientate da fioriture insolite e accavallate, e inoltre alla mercè della varroa, loro temibile parassita, reso più virulento e longevo dalle miti temperature autunnali.

Hanno problemi d'orientamento anche gli uccelli migratori. Quelli su lunghe distanze, ad esempio, che dall'Europa svernano nell'Africa sud-saheliana sono costretti dalla crescente siccità e deforestazione delle regioni di svernamento a ritardare la partenza verso nord, poiché è divenuto più arduo reperire cibo e accumulare grasso per il lungo viaggio, e così riducono le loro opportunità riproduttive.
Quelli che migrano su brevi distanze, tra i quali molti passeriformi, approfittano delle temperature più elevate per giungere con ampio anticipo nelle nostre regioni, scegliere i territori migliori e anticipare la riproduzione.

Molti ritardano la partenza autunnale, allevando ulteriori nidiate, e alcuni addirittura, grazie all'inverno particolarmente mite, rinunciano del tutto a migrare, come le garzette che svernano ormai nel Nord Italia. Anticipare il momento della riproduzione non è comunque sempre un vantaggio. Oltre a molti uccelli, anche i tritoni e lo scoiattolo rosso hanno anticipato in conseguenza dell'aumento di temperatura il periodo riproduttivo, con il risultato però di non avere a disposizione sufficienti risorse alimentari per la prole, a causa del mancato sincronismo con le specie su cui si alimentano.

Anche il letargo paga il suo pegno ai bruschi cambiamenti climatici. L'aumento di temperatura ha infatti portato molte specie a risvegli anticipati, anche di 35 giorni, e ciò altera gli equilibri alimentari (c'è chi si sveglia quando le piante di cui si nutre non sono ancora fiorite) e interspecifici.
Il ghiro, a causa del precoce risveglio, si ritrova a cercare casa per la futura prole nelle cavità dei tronchi contemporaneamente alla cinciallegra e alla cinciarella; inoltre, essendo inaspettatamente sveglio alla schiusa delle uova della balia nera, rappresenta per questo uccello un nuovo predatore.

In questo quadro disorientato e disorientante, c'è una certezza: a questa velocità nel 2050 il 25% delle specie attuali sarà estinto. La Terra supererà anche questo... ma l'uomo rischierà di ritrovarsi in quel mucchio.

Dal nostro archivio, sfoglia il numero di Piemonte Parchi n. 172 - pag. 10-12

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