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Caccia, il Piemonte apprezza le indicazioni dell'ISPRA

Il monito cautelativo sull'apertura della stagione venatoria emesso dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale è apprezzato dal Piemonte dove è vietata la caccia nelle aree boschive incendiate durante l'estate - fortunatamente non troppo numerose - e dove sono tutelati gli uccelli acquatici grazie alla recente disposizione dal Consiglio regionale che vieta il prelievo di ben 12 specie di anatidi

  • Redazione
  • Agosto 2017
  • Venerdì, 8 Settembre 2017
Caccia, il Piemonte apprezza le indicazioni dell'ISPRA

Tra caldo e incendi, è stata un'estate connotata da situazioni estreme per molti territori del nostro Paese. Per questo, con una nota inviata a tutte le Regioni italiane, l'Ispra - ovvero l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ha invitato ad assumere provvedimenti cautelativi in occasione della prossima apertura della stagione venatoria e la Regione Piemonte ha espresso apprezzamento per tali indicazioni.

"Al di là di quanto previsto dalla legge 157/92, si tratta - ha puntualizzato l'assessore regionale Ferrero - di un documento pertinente ed assolutamente apprezzabile dal punto di vista della tutela dell'ambiente in un contesto di delicata criticità come quello attuale. E' bene però precisare che e indicazioni contenute si rivolgono a due eventi specifici: gli incendi boschivi e la siccità.

Per quanto riguarda il primo caso, per fortuna la nostra Regione non è stata colpita in maniera così pesante come avvenuto in altri territori e che nelle aree interessate, costantemente monitorate con attenzione dai carabinieri forestali, è vietata l'attività venatoria. Per quanto riguarda la questione derivante dal lungo periodo siccitoso, le indicazioni di Ispra pongono particolare attenzione agli uccelli acquatici, raccomandando l'apertura del prelievo a ottobre, evitando le aperture in settembre. A tal proposito la Regione Piemonte rientra ampiamente nell'osservazione di queste raccomandazioni, tanto che non c'è alcuna pre-apertura. Non solo, è stato reintrodotto di recente dal Consiglio regionale il divieto totale di prelievo su ben 12 specie di anatidi, oltre al merlo, all'allodola, alla pernice bianca ed alla lepre variabile. Non sono, inoltre, oggetto di pre-apertura il colombaccio e lo storno, non oggetto in ogni caso di prelievo in Piemonte, presenti invece in altri calendari venatori". (

Nonostante questo contesto, il Settore regionale competente ha comunque richiesto a Province, comprensori alpini e ambiti territoriali di caccia di far pervenire eventuali situazioni di criticità, al fine di attuare tempestivamente e caso per caso eventuali opportuni provvedimenti, e per assicurare il costante monitoraggio delle variabile meteoclimatiche ed ideologiche così come richiesto da Ispra.(Fonte: PiemonteInforma)

La nota cautelativa di ISPRA

Porta la firma di Piero Genovesi, responsabile dell'Area pareri tecnici e Strategie di conservazione e gestione patrimonio faunistico nazionale e mitigazione impatti, la nota cautelativa di ISPRA che suggerisce a tutte le Regioni italiane di limitare l'attività venatoria in particolare nei territori interessati da incendi e condizioni climatiche estreme verificatesi nel corso dall'attuale stagione estiva.

Il monito arriva in occasione della prossima apertura della stagione venatoria e, come già evidenziato in passato, in presenza di eventi climatici particolarmente avversi per la fauna – a tale proposito si vedano i bollettini periodici e gli Standardized Precipitation Index , l'Istituto ritiene che, seguendo il principio di precauzione, «vadano assunti provvedimenti cautelativi atti a evitare che popolazioni in condizioni di particolare vulnerabilità possano subire danni».

Del resto, si legge nella nota, «i dati meteoclimatici indicano che il 2017 è stato caratterizzato, già a partire dagli inizi dell'anno, da una situazione meteorologica decisamente critica, caratterizzata da temperature massime assai elevate e prolungati periodi di siccità, che ha determinato in tutta Italia una situazione accentuata di stress in molti ecosistemi, si legge nella nota.
Tale situazione, anche aggravata da una drammatica espansione sia del numero degli incendi sia della superficie percorsa dal fuoco (+260% rispetto alla media del decennio precedente; dati European Forest Fire Information System - EFFIS) in diversi contesti del Paese, comporta una condizione di rischio per la conservazione della fauna in ampi settori del territorio nazionale e rischia di avere, nel breve e nel medio periodo, effetti negativi sulla dinamica di popolazione di molte specie.

Infatti, il perdurare di condizioni climatiche estreme, soprattutto nel caso di specie che nel nostro Paese raggiungono il limite meridionale del proprio areale, determina un peggioramento delle condizioni fisiche degli individui rispetto a quanto si registra in annate caratterizzate da valori nella norma dei parametri climatici poiché risulta necessario un maggior dispendio energetico per raggiungere le fonti idriche, che si presentano ridotte e fortemente disperse. Ciò può condizionare negativamente il successo riproduttivo e aumentare la mortalità degli individui giovani e adulti, a causa di una maggior vulnerabilità a malattie e predazione.
A ciò va ad aggiungersi un impoverimento quali-quantitativo dell'offerta trofica, determinato dal perdurare di condizioni climatiche siccitose. La scarsa disponibilità di risorse trofiche condiziona sia specie che si nutrono di bacche, semi e insetti, sia specie erbivore che, a causa della scarsa disponibilità idrica, non sono in grado di compensare il basso tenore d'acqua presente nei tessuti vegetali di cui si nutrono.

Per quanto concerne gli ecosistemi acquatici, le temperature elevate e la siccità possono favorire l'insorgenza di estesi fenomeni di anossia, con conseguente alterazione delle reti trofiche esistenti e parziale o totale collasso delle biocenosi. Allo stesso tempo, con il perdurare della crisi idrica molti ambienti palustri nel corso dell'estate tendono a seccare, riducendo il successo riproduttivo delle specie che nidificano più tardivamente e costringendo gli uccelli a concentrarsi nelle poche aree che rimangono allagate. In un tale contesto, inoltre, l'impatto antropico sugli ecosistemi acquatici risulta ancora più incisivo: le già ridotte risorse idriche naturali vengono infatti sfruttate con maggiore intensità, per far fronte alle crescenti richieste per usi civili, agricoli e industriali. Al tempo stesso, le sostanze inquinanti derivanti dalle attività agricole, industriali e civili tendono a risultare più concentrate, con maggiori impatti sugli ecosistemi acquatici.

Per le specie legate a ecosistemi terrestri, perdite di ambienti si possono verificare anche a causa degli incendi, come quelli che hanno recentemente interessato vaste aree dell'Italia, che possono limitare fortemente la disponibilità delle risorse trofiche essenziali per la fauna e ridurre in maniera significativa le possibilità di rifugio. Contrariamente a quanto avviene in altri contesti geografici ed ecologici, dove gli incendi si possono considerare un elemento naturale e fisiologico degli ecosistemi, nella regione mediterranea essi rappresentano un importante fattore di modificazione dell'ambiente con alterazione della struttura, della composizione e della distribuzione della vegetazione, ovvero degli habitat cui sono legate le diverse specie, modifica del microclima, attraverso l'alterazione della quantità di radiazione solare che raggiunge il suolo, come conseguenza della riduzione (fino alla distruzione) della copertura vegetale, innalzamento dell'escursione termica per periodi anche prolungati, aumento della ventosità, modificazione del tasso medio di umidità nell'aria e nel suolo, ecc.
Di conseguenza, il fuoco può rappresentare un importante fattore limitante per il successo riproduttivo delle popolazioni nel periodo estivo, ma può anche condizionare negativamente la dinamica delle stesse popolazioni negli anni seguenti».

Per tutte le ragioni esposte, ISPRA - richiamando quanto previsto dalla legge sulla caccia n. 157/92, art. 19, comma 1 - consiglia di adottare una serie di limitazioni specifiche riguardo: l'addestramento e l'allenamento dei cani da caccia che comportano uno stress aggiuntivo per le popolazioni di fauna stanziale; la caccia da appostamento, almeno sino a quando continuerà il deficit idrico per evitare una concentrazione del prelievo in corrispondenza dei punti di abbeverata; la caccia agli uccelli acquatici, in seguito alla riduzione dell'estensione delle aree umide con caratteristiche idonee a ospitare l'avifauna acquatica e quella alle specie stanziali, con misure volte a limitare la pressione venatoria nel corso della stagione e, infine, indica misure volte a limitare la caccia nelle aree interessate da incendi poiché l'esercizio dell'attività venatoria a carico di talune specie può rappresentare un ulteriore motivo di aggravamento delle condizioni demografiche delle popolazioni interessate.

L'Istituto è del parere che «le Amministrazioni competenti dovrebbero attivare specifiche iniziative di monitoraggio soprattutto a carico delle popolazioni di fauna selvatica stanziale o nidificante, potenzialmente oggetto di prelievo venatorio, assumendo di conseguenza eventuali misure di limitazione del prelievo stesso. In particolare dovrebbero essere emanati adeguati provvedimenti affinché il divieto di caccia nelle aree forestali incendiate (come già previsto dalla Legge 353/2000, art. 10, comma 1 per le sole aree boscate) sia esteso almeno per due anni a tutte le aree percorse dal fuoco (cespuglieti, praterie naturali e seminaturali, ecc.), nonché a una fascia contigua alle aree medesime, le cui dimensioni debbono essere stabilite caso per caso in funzione delle superfici incendiate, della loro distribuzione e delle caratteristiche ambientali delle aree circostanti».

 

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